Off the Nantucket Coast. (Episode 1)

“Ho creduto di essere solo. Ma con me c’era il mio destino”.

Ogni volta ripenso a questa frase. Sì, tutte le volte che mi avvicino al molo di un porto. Ogni volta che ritrovo quel desiderio di imbarcarmi su una di queste grandi navi.
Alle volte crediamo di aver fatto delle scelte. Di aver preso una strada. Di esserci lasciati alle spalle tutto. Ma noi uomini, noi esseri umani, siamo dotati di un potere speciale. Quello di riuscire a tessere dentro di noi ogni giorno una fitta tela colorata in cui in ogni filo, teso ed attorcigliato, è un’esperienza della nostra misera esistenza. Tutto ciò che è dentro partecipa a determinare la nostra azione successiva. E così riemerge un ricordo lontano nascosto nella nebbia della memoria, un scena perduta di poca importanza negli angoli remoti del tempo, o soltanto una sensazione senza riferimenti, o l’affetto verso chi non è più parte di noi ma che in realtà lo è e lo sarà sempre perché il suo ordito ha intrecciato irrimediabilmente la nostra trama.
E così ogni azione prende forma non come conseguenza delle circostanze contingenti. Ma piuttosto come conseguenza di tutto il nostro vissuto, dal più remoto vagito, all’istante che infinitesimamente precede il tempo corrente. La tela che tessiamo in ogni istante è la vela che spieghiamo sull’albero maestro del nostro vascello.

Ogni tanto allora, avverto forte la necessità di vedere da che parte spira il vento e come questa vela – che è in continuo divenire, – reagisce alla furia di Eolo.

A quest’ora del mattino il porto sembra deserto. Ma all’occhio attento non sfuggono figure oscure, mani veloci, reti che si preparano alla pesca. Non sono mai stato granché come baleniere. Se sono sopravvissuto è perché sono stato sufficientemente prudente. Perché la ragione più dell’ambizione ha guidato le mie azioni. Ma anche l’amore. Anche la generosità. Anche il rispetto.

Una volta un marinaio originario di Cape Elizabeth mi disse: “Ogni granello di questa sabbia si confonde con ogni parola che attraversa questo porto. Eppure nessuno avverte il disperato richiamo di chi è disperso in mare in queste notti invernali.” Ed intanto stringeva un pugno di sabbia che lentamente fuoriusciva dai lati della mano disperdendosi nel vento freddo.
“Io… io lo avverto.” – dissi – “In ogni momento. In ogni azione che produce la mia anima io avverto il richiamo dei miei dispersi. Perché ascolto. Perché vedo. Perché so dove cercarli… Un giorno, vedrai, mi imbarcherò. Ma solo per ripescare il mio equipaggio. Perché so che se morissero con loro morirebbe una parte di me stesso, una parte che non posso permettermi di perdere. Partirei per salvarli. Non per cercare disperatamente di uccidere i miei incubi per poi finire ucciso per mia stessa mano portando via con me la mia stessa nave ed i miei stessi uomini.”

Io… io non sono il Capitano. Il Capitano è morto.