The Last Dance

Ho freddo in questa notte di fine inverno. Non dormo. Non riesco. E non ci provo nemmeno… Eppure – mi chiedo – non è possibile che io viva sempre tutto TUTTO con estrema intensità, con una estrema incapacità di accettare la realtà delle cose, il fluire del tempo, lo scorrere dei secondi. So che tutto questo è parte della mia crescita personale, del mio individuale percorso verso una consapevolezza maggiore, verso la conquista di un amor proprio che ancora non c’è, verso la conquista dell’indulgenza verso se stessi, verso il saper perdonare l’incapacità di non saper cogliere le occasioni, di superare i propri limiti in un tempo accettabile, e di non saper cogliere le scintille quando scoccano. E così ti ritrovi senza più il sorriso. Perché di sorridere alle cose frivole proprio non ti viene più di fronte alla difficoltà e alla precarietà dell’esistenza umana, di fronte all’incapacità di salvarsi, di salvare, di vivere, di amare in pace. Ma soprattutto sparisce il sorriso quando ciò che provi, ciò che vuoi e ciò che riesci a fare seguono tre punti cardinali differenti. E non c’è perdono. E non c’è mai l’occasione di un ultimo ballo.

La ruota gira sempre. Ma il suo raggio è infinito. E ciò che è stato non torna più.

Anytime Soon.

Estate.

Calore pazzesco mentre preparo le mie cose per un viaggio improvviso, inaspettato, lontano. Al Sole apro le braccia nella brezza mentre cammino lungo la mia strada e Lucinda Williams risuona nella mia testa. Note occidentali, ardenti di sud, di terreni aridi e mari caldi. Inconsapevole ma inconsciamente preparato, sto per ritrovare la mia vita, quella che da tanto cerco, quella che oggi sto perdendo di nuovo.

Waikiki.

Ho preso un drink. Non so nemmeno che cosa sia. Forse una birra ghiacciata o forse qualcosa di più forte. Ma sono stato me stesso. Anche quando mi hai offerto una sigaretta. Avrei potuto benissimo accettare ma invece sono rimasto col sorriso, intrecciato in quel nostro gioco di sguardi e ti ho semplicemente accompagnato fuori dove tutti gli altri si raccoglievano per fumare. Di quella sera forse al di là delle parole ricorderò sempre la penombra, i luccichii nei nostri occhi complici, il riflesso del tramonto tropicale, la quiete del nostro mondo mentre tutto il resto balla al primo piano di quel bar. E’ strano come ci si possa riconoscere anche quando ci si trova all’altro capo del mondo. Bastano poche parole, bastano gli occhi, basta un secondo ed ecco che all’istante si parla la stessa lingua, e l’universo circostante si zittisce perché non sono più le orecchie ad ascoltare.

Notte.

Percorro l’ultimo tratto di Kalakaua Avenue mentre la brezza spira tra le palme portando con sé l’odore notturno del mare. Non riesco a formulare pensieri. Sento forte un’urgenza improvvisa che riempie tutti gli spazi della mia mente. Sono solo cosciente del fatto che qualcosa dentro me finalmente è cambiato. Sono consapevole che con ogni probabilità di lui non sentirò più parlare e non sono nemmeno certo che quello strano appuntamento tra le strade di San Francisco possa davvero concretizzarsi. Ma ciò che davvero brucia la mia anima è la sensazione che inaspettatamente sia arrivato il momento in cui tutto non sarà mai più come prima. Imbocco Ala Moana Boulevard e attraverso le aiuole nel silenzio più assoluto della città. La vita ha più senso adesso. Tutto acquisisce un colore, un’energia, un significato. Perfino quell’improvviso rumore sordo che risuona quasi come un colpo di cannone sparato a chilometri di distanza nel cuore della notte. Un secondo di silenzio. E poi un sibilo crescente. Un rumore rilassante e tranquillo di acqua corrente.

Resto lì, fermo, con le braccia distese, nella notte di Honolulu mentre gli irrigatori notturni rinfrescano le piante tropicali e l’essenza della mia anima finalmente rinasce.